Anthony Braxton - Mestre 2008 - ( Composition 367 c )

Il genio di Chicago degli strumenti ad ancia è tornato con il suo nuovo Quartetto, “Diamone Curtain Wall Quartet” grazie all’italiana Caligola. Del resto la popolarità del più geniale e creativo sax del free jazz internazionale nel nostro paese è indiscutibile e gli vale fans ed ammiratori di ogni generazione. Una fama ed un seguito che Anthony Braxton, classe 1945, merita ampiamente per ciò che rappresenta nel panorama del jazz mondiale. Ma chi pensasse di trovarsi ddi fronte a un cd live di "ricordi" di ciò che è stato il jazz si sbaglia di grosso. Anthony è un innovatore, un ricercatore di suoni e questa sua natura non può essere tradita. Ecco che allora in “Mestre 2008”, Anthony si esibisce utilizzando l'intera gamma dei sassofoni dal sopranino al contrabbasso e una grande varietà di clarinetti ma in una dimensione inconsueta nell'attuale panorama jazz affiancato da Taylor Ho Bynum ( cornet, flugelhorn, piccolo and bass trumpets, valve trombone ) Katherine Young ( electric guitar ) , considerata una delle piu' interessanti realta' del chitarrismo contemporaneo e Mary Halverson ( basson ) . Il cd ritrae fedelmente il concerto che Braxton tenne al Centro Culturale Candiani a Mestre nel 2008 durante il quale esegui' la Composition 367c.

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Anthony Braxton, polistrumentista e compositore, è nato il 4 giugno 1945 a Chicago, e qui si è laureato prima in armonia e composizione al Chicago Musical College, poi in filosofia alla Roosevelt University. Suona anche il flauto ed il pianoforte, ma ha dimestichezza soprattutto con li sassofoni ed i clarini. Approda nell’AACM di Chicago, scuola–associazione fondata da Richard Abrams e Roscoe Mitchell, poco più che ventenne, ma si mette in luce già nel 1968 registrando due importanti dischi come leader, «Three compositions of new jazz», con Muhal Richard Abrams, piano, Leo Smith, tromba, Leroy Jenkins, violino, e soprattutto «For Alto», un album doppio per sax solo, avveniristico per l’epoca, che aprirà la strada ai lavori solistici di altri sassofonisti.
Fra il 1969 ed il 1974 Braxton compie frequenti viaggi a Parigi, dove ha occasione di registrare numerosi dischi e di incontrare molti esponenti dell’avanguardia jazzistica europea. Fra il 1970 ed il 1971 guida un interessante quartetto, “Circle”, con Chick Corea, pianoforte, Dave Holland, contrabbasso, e Barry Altschul, batteria. Di questo gruppo esce nel 1971 un album live, «Circle: Paris concert». Corea segue un’altra strada, ma la coppia ritmica del “Circle” diverrà la base, fino al 1976, di tutti i suoi futuri quartetti, prima con il trombettista Kenny Wheeler, poi con il trombonista George Lewis. In questo periodo d’intensa attività, ed anche di larga popolarità, incide duetti con Muhal Richard Abrams al pianoforte e Richard Teitelbaum al synth. Realizza quindi due ambiziose registrazioni per grande orchestra: «Creative Orchestra Music» nel 1976, ispirata alle tradizioni bandistiche americane, e «For four orchestras» nel 1978, dove vengono utilizzati ben 160 esecutori. A cavallo fra gli anni ’70 ed ’80 cambiano sempre più spesso i componenti dei suoi quartetti. Ray Anderson prende il posto di George Lewis al trombone, mentre al contrabbasso si succedono John Lindberg e Mark Helias, alla batteria Thurman Barker e Ed Blackwell. Dalla fine degli anni ’80 guida un quartetto con Marilyn Crispell, pianoforte, Mark Dresser, contrabbasso, e Gerry Hemingway, batteria. Braxton registra più volte in duo con Max Roach, e torna a lavorare episodicamente anche al sax solo. Molte e fruttuose le collaborazioni, che lo vedono a fianco di Roscoe Mitchell e Ornette Coleman, ma anche di improvvisatori europei come Derek Bailey, Evan Parker e Willem Breuker.
Da quando, nel 1985, ottiene la cattedra di composizione al Mills College – ma qualche anno dopo si trasferisce alla Wesleyan University di Middletown – la sua attività concertistica inevitabilmente si dirada, ma ciò non gli impedisce di registrare, anzi. A partire dalla seconda metà degli anni ’80, grazie all’appoggio dell’etichetta indipendente inglese Leo Records, Braxton pubblica decine e decine di dischi – quasi un centinaio sino ad oggi – che rappresentano un’accurata e preziosa documentazione della sua musica. Utilizza quasi esclusivamente sue composizioni, eseguite dai più diversi organici. Influenzato da sassofonisti di scuola jazzistica come Charlie Parker, Eric Dolphy e Ornette Coleman, ma anche da compositori contemporanei come John Cage, Karlheinz Sockhausen e Arnold Schoenberg, Braxton va valutato non solo come sassofonista, per quanto innovatore ed originale, ma soprattutto come compositore. Non è un caso che Leo Records abbia recentemente pubblicato un cofanetto di 9 dischi interamente occupato da trascrizioni della sua musica per pianoforte. I suoi brani, che spesso privilegiano le parti scritte rispetto a quelle improvvisate, hanno quasi sempre per titolo dei simboli grafici e/o matematici, apparentemente poco comprensibili e distinguibili. Alcuni di questi diagrammi indicano la posizione dei musicisti durante la performance, ed hanno quindi anticipato la musica aleatoria di John Zorn, che di Braxton è sempre stato un grande estimatore.
Laureato in filosofia, appassionato giocatore di scacchi e fumatore di pipa, l’ormai sessantenne sassofonista chicagoano non è l’unico jazzista ad aver coltivato un interesse profondo per la scienza dei numeri: Albert Ayler, Cecil Taylor, Ornette Coleman, hanno spesso giocato con algoritmi e moduli numerici. Ma il caso di Braxton è diverso: spesso, anche se non sempre, numeri e formule costituiscono le matrici generative fondamentali della sua musica. I “patterns” melodici, le sequenze ritmiche, persino molte combinazioni timbriche derivano da una serie più o meno estesa di rigorosi principi matematici.
Negli ultimi tempi Braxton più che rileggere “standards” predilige suonare la sua musica, che ama definire “ghost trance music”, insieme a giovani interpreti, anche di formazione classica. Il quartetto con cui affronta questo nuovo cd è assolutamente inedito, ed ha una composizione piuttosto inconsueta nel mondo del jazz, mettendo insieme il fagotto e gli ottoni, la chitarra elettrica e le ance (od i clarini) del leader. Il tutto condito da una buona dose di elettronica.